Trailer Mattia Pascal

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Così La Stampa... 

Uno spettacolo ben interpretato, dal buon ritmo e senza sbavature di sorta, che ha comunque il merito di fare dell’adattamento di un romanzo un testo campione del teatro di Pirandello. Beffardo, ironico, giocoso, riesce grazie anche alla scelta di un ottimo cast e alle scene semplici e suggestive, coadiuvate da luci ed effetti sonori che sembrano riportare la realtà ad una dimensione onirica se non in molti casi filmica, a riprodurre il nocciolo semantico del testo, che risiede poi nel limite stesso dell’esistenza. Limite che si supera scivolando nell’oblio, quando una maschera ormai senza volto riesce a imporsi per vivere in autonomia e sostituirsi definitivamente all’Io.

Claudio Elli

“Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello

al Teatro Carcano

Tato Russo trasforma in dramma il capolavoro della narrativa di Pirandello, “Il fu Mattia Pascal”. Percorso non facile dare una versione scenica ad un’opera che lo stesso autore non pensò mai di fare. A maggior ragione dobbiamo quindi riconoscere il successo dell’impostazione drammaturgica, registica e scenica elaborata da Tato Russo che è riuscita a catturare l’attenzione degli spettatori che alla fine hanno tributato un calorosissimo meritato applauso. La versione teatrale resta assai fedele nel concertato dialogico al testo del romanzo. Nel montaggio drammaturgico, con la tecnica del flash back, Tato Russo - mantenendo i dialoghi piacevoli essenziali senza preziosismi letterari - rende alla narrazione una fluidità e un’immediatezza sorprendenti.

Ed ora la storia in breve di Mattia Pascal che, sotto il peso di dissidi familiari, debiti e di un amore denegato lascia la casa e la famiglia, fugge a Montecarlo dove un colpo di fortuna lo rende ricco. Ma quando sta per ritornare legge la notizia che, nel suo paese, uno sconosciuto annegato in una roggia è stato identificato “frettolosamente” dai familiari per lui stesso, Mattia. La notizia lo scuote, lo sconcerta ma alla fine gli apre nuovi orizzonti. Si sente finalmente libero, senza nome, senza passato. Prende l’identità fittizia di Adriano Meis, si trasferisce a Roma in una piccola pensione dove, dopo poco tempo si innamora della giovane proprietaria. Tutto sembra andare nel verso giusto, ma una misteriosa cospirazione lo obbliga a fuggire. Capisce l'impossibilità di vivere fuori dalle leggi e dalle convenzioni che gli uomini si sono dati e scopre che fare il morto non è una bella professione. Decide quindi di farla finita anche con la nuova identità, simulando il suicidio di Adriano Meis nelle acque del Tevere. Non gli rimane che tornare nel paese d'origine dove scopre che la moglie si è risposata con un suo amico d'infanzia, ha avuto già una bambina e trascorre una vita tutto sommato serena. Arrivato con propositi di vendetta, Mattia Pascal ben presto li abbandona e si rende conto che d’ora in avanti non sarà altri che il fu Mattia Pascal. Non gli resta di andare ogni tanto al cimitero a portare un fiore sulla propria tomba.

E’, per concludere, la storia di un uomo che si finge morto per essere vivo e libero, ma che alla fine rimane vittima delle convenzioni sociali che gli impediscono di amare, di difendersi, insomma di vivere. Lo spettacolo si sviluppa, in una sorta di autoanalisi, sulla falsariga di un “lungo ricordo-incubo del protagonista che monologa, evoca e tenta di esorcizzare i propri ricordi, rappresentandoseli”.

In questa pièce si pone il problema, caro a Pirandello, dell’identità e “dell'infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell'Universo... Storie di vermucci ormai, le nostr). E’ il tema della finzione, delle maschere che l’uomo indossa consapevolmente nella società borghese. E non si tratta di una scelta libera e volontaria, ma necessaria per difendersi e sopravvivere. Da questa imposizione nasce l’aspetto grottesco e straniante della condizione dell’uomo che, a furia di mettere e togliere la maschera a seconda delle circostanze, alla fine non sa più quale è la maschera e quale il volto. D’altra parte Pirandello si è limitato a teorizzare un comportamento opportunistico che è nella natura dell’uomo, frutto dell’intelligenza. La vita dunque è tutta una falsificazione. L’ipocrisia e l’opportunismo esaltano la doppiezza dell’uomo che, cambiando la maschera (tanto per rimanere in tema) si fa uno, nessuno, centomila.

Gran bella prova d’attore quella di Tato Russo, padrone della scena, vibrante interprete del dubbio e dell’angoscia pirandelliana cui non manca l’ironia e l’umorismo. Buoni gli altri attori che meritano tutti una menzione: Katia Terlizzi, Renato De Rienzo, Marina Lorenzi, Massimo Sorrentino, Francesco Ruotolo, Caterina Scalaprice, Francesco Acquaroli, Carmen Pommella, Antonio Rampina. Belle e funzionali le scene di Tonino Di Ronza, i costumi di Giusi Giustino, le musiche di Alessio Vlad.

Teatrionline - Maurizio Carra il 18/03/2011

La fuga (senza ritorno) di Mattia Pascal

Grande attesa nella terra di Pirandello per questa rappresentazione teatrale del celeberrimo romanzo Il fu Mattia Pascal e di conseguenza il teatro comunale di Agrigento è affollato da amanti della prosa e da scolaresche interessate.

Scaduti i diritti d’autore, finalmente Tato Russo può realizzare il suo sogno nel cassetto: collocare sulla scena Mattia Pascal/Adriano Meis e tutti i protagonisti delle sue due vite. Quella del disilluso borghese fallito Mattia Pascal e quella del ‘rinato’ Adriano Meis, fortunato benestante in giro per il mondo alla ricerca della sua nuova esistenza.

Il lavoro di adattamento, dopo progressive elaborazioni, ha raggiunto una resa scenica ottima e non tradisce il romanzo nè il suo autore. Il pericolo di realizzare una rappresentazione statica e monovoce (come in effetti è nel romanzo narrato in prima persona) è stato scongiurato dall’artista napoletano che è ricorso alla voce narrante ‘autentica’ solo nei salti temporali. A Tato Russo è riuscito il difficile lavoro delle ‘scelte’ sceniche, indovinando i brani trasposti per la recitazione sia dal punto di vista di resa scenica che in quella più letteraria di comprensione narrativa e tematica.

La geniale scenografia ‘open space’ di Tony Di Ronza e il gioco di luci di Roger La Fontaine fanno nascere gli ambienti quasi dal nulla: gli oggetti simbolo delle ambientazioni compaiono sotto teli neri quasi per magia, i personaggi stessi sembrano ‘sbucare’ sulla scena come per sortilegio evocato dal protagonista. Le ottime performance degli attori Katia Terlizzi, Renato Di Rienzo, Francesco Acquaroli ma anche di Marina Lorenzi, Massimo Sorrentino e Carmen Pommella completano la riuscita trasformazione del teatro borghese pirandelliano in un’affascinante espressione di teatro moderno. La regia caratterizza le doppie e triple personificazioni degli interpreti marchiandole comunque con i simboli tragicomico e grottesco  propri di Luigi Pirandello.

Stessa cosa si può dire dell’interpretazione proprio di Tato Russo. Il suo Mattia Pascal si trascina identico dall’inizio alla fine dello spettacolo, invariato anche nella ‘trasformazione’ in Renato Meis: il deluso, il sofferente, l’inappagato Mattia non muta nella nuova vita di Meis, non c’è la svolta, non c’è nemmeno la parabola che riporta l’avventuriero alle stesse insofferenze dell’inquieto defunto Pascal. Perché in fondo, anche in questo romanzo sceneggiato, ad essere rappresentata è l’eterna insoddisfazione personale, la voglia di riscatto, l’avvertito bisogno di ognuno dell’evasione liberatoria da una società convenzionale e rigida, quella società che ci obbliga ai nostri doveri e ci nega le nostre aspirazioni. Ma dopo la fuga, reale o immaginaria che sia, sappiamo che nessun vuoto resta tale a lungo: la società, ma è meglio dire la vita, ha la forma dell’acqua e riempie ogni assenza. E così quando ad Adriano Meis non basta più essere vivo, non basta più amare, non basta più contestare e sente il bisogno di convalidare i suoi sentimenti, la sua stessa vita, si rende conto che non è possibile, che lui non è alcuno: lo specchio simbolo che troneggia sulla scena non riflette più la sua immagine. Nasce quindi la sofferta decisione di far suicidare Adriano Meis e riprendere il posto del redivivo Mattia Pascal.

Con l’abbondante capitale vinto al gioco, sicuro di risalire nella scala sociale, rientra al suo paese ma… la forma dell’acqua ha già occupato il suo posto: nei due anni di assenza sua moglie si è risposata con il suo migliore amico ed ha anche una figlia. Non c’è chi lo riconosca né chi vuol credere ai fantasmi. E come un fantasma Pascal fa visita alla sua tomba e a chi gli chiede chi sia, risponde di essere il ‘fu’ Mattia Pascal: il ‘nessuno’ dei futuri soggetti di Luigi Pirandello.

Francesco Principato

Tato Russo a Varese: “Basta con i tagli alla cultura”

Una suggestiva sfilata di maschere ha chiuso il Fu Mattia Pascal di Tato Russo, l’attore e regista napoletano che venerdì 11 marzo e, in replica, anche sabato e domenica ha portato in scena al Teatro di Varese la sua versione teatrale del romanzo di Pirandello. Una rilettura che mantiene la voce narrante protagonista del libro ma valorizza dialoghi e simboli – su tutti, lo specchio e la maschera – per raccontare la storia del “morto in vita” Pascal, l’uomo che dato per morto ha scelto di cambiare nome e apparenza, è diventato Adriano Meis, ha amato una donna per poi vedersi costretto a “suicidare” anche la sua nuova identità. Ritornato al suo paese, più nessuno lo risconosce, la famiglia lo ha presto sostituito, e non gli resta che una larva di Sé: il “fu” Mattia Pascal.

Doppio ruolo per Russo, che oltre ad essere regista dello spettacolo ha interpretato sia Pascal sia Meis, in una metamorfosi alla disperata ricerca del proprio vero Io, al di fuori di maschere e convenzioni sociali, che si riveleranno però vincoli insormontabili.

Finale a sorpresa, con un’incursione nell’attualità in coda allo spettacolo: salutando il pubblico Tato Russo ha colto l’occasione della presenza del ministro Maroni in sala per un’accorata invettiva contro l’ennesimo taglio al Fus, il Fondo Unico per lo Spettacolo, già drasticamente ridotto quest’anno a 258 milioni di euro contro i 414 del 2010. A causa di mancati introiti nella vendita di frequenze del digitale terrestre, infatti, altri 27 milioni del Fondo sono stati congelati, alimentando le gravi preoccupazioni degli operatori dello spettacolo: “L’anno prossimo questa bella compagnia potrebbe non esistere più – è la denuncia di Russo – invece di tagliare sulla cultura, sarebbe stato più utile tagliare sulle auto blu e sugli altri privilegi, ora rischiamo di vivere di oboli. Non impediamo la creazione”. Imbarazzo di Maroni, cui Russo chiede un aiuto diretto presso Tremonti: “Anche lei, ministro, è un musicista…”

fabiana.spozio - 13 marzo 2011

 

"Il fu Mattia Pascal", buona la prima

"Buona la prima", si potrebbe dire, per la prima delle quattro serate che, al teatro Pirandello, ospitano il riadattamento teatrale de “Il fu Mattia Pascal” ad opera di Tato Russo, grande attore di teatro di origini napoletane.

Gradimento e applausi dal pubblico e soddisfazione degli artisti raggiunti dietro le quinte al termine dello spettacolo.

“Il fu Mattia Pascal”, magistralmente reso dal grande Tato Russo e dall’intensa interpretazione della compagnia, si presenta subito come insolito agli occhi dello spettatore, generalmente abituato ad altre rese sceniche e teatrali, ma si segue al ritmo di un’intensa rappresentazione che drammatizza, senza guastare, l’apparente leggerezza del contenuto ……

….. la narrazione vivace e riflessiva della voce fuori campo di Tato Russo alternata alla recitazione, consente allo spettacolo di raggiungere momenti  assolutamente esaltanti.

Manuela Cumbo

 

continua

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